Il 20 marzo di ogni anni si celebra la giornata internazionale della felicità istituita dall’Organizzazione delle Nazioni Unite nel 2012. Gli Stati membri dell’organizzazione sono invitati a celebrare questa giornata attraverso iniziative educative per la crescita e la consapevolezza pubblica.
I testimonial ufficiali dell’iniziativa, quest’anno, sono i Puffi, che con la loro notorietà invitano bambini, giovani e adulti a rendere il mondo più felice, pacifico, solidale e sano. La campagna, tradotta in 14 lingue, si chiama ‘Piccoli Puffi, Grandi Obiettivi’ ed è pensata per incoraggiare una migliore conoscenza dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, fissati nel 2015 dai 193 Paesi membri delle Nazioni Unite.
Il Bhutan dal 1970 censisce la felicità interna lorda che, per lo Stato, è un concetto che poggia su quattro punti: il rispetto dell’ambiente, un governo giusto, la conservazione delle tradizioni e un modello di sviluppo economico sostenibile. Ogni punto è indispensabile per la vita felice della Nazione.
In Italia la Costituzione non garantisce esplicitamente il diritto alla felicità, ma esso è alla base di ogni diritto. Diverse organizzazioni, come WeWorld ed Avis, si sono mosse, lo scorso anno, a sostegno della giornata in 400 piazze italiane. L’invito globale è di organizzare un happy party e dopo essersi scattati una foto postarla sul sito www.happyparty.com. Inoltre la sfida dei “100 giorni felici” che invita tutti i partecipanti a trovare per cento giorni consecutivi qualcosa di cui essere felici o grati e condividerlo su twitter.
“Non si può essere felici da soli, perché la felicità è una forma alta di bene comune”
L’idea di felicità fa pensare alla nostra felicità personale e raramente a quella collettiva. Mai o quasi mai pensiamo alla felicità quando compiano i nostri doveri civili. Questo è proprio il messaggio che “La giornata internazionale della felicità” vuole trasmettere: imparare che la felicità è qualcosa di collettivo ed utile a tutti: “Non si può essere felici da soli, perché la felicità è una forma alta di bene comune.”. (Luigino Bruni)
L’uomo più felice al mondo si chiama Matthieu Ricard ed è francese. Gli studiosi hanno cercato di capire perché il suo livello di felicità è il più alto al mondo e si è concluso che ci sarebbe un rapporto stretto tra genetica e felicità e a dimostrarlo è il popolo danese.
Esisterebbe un’associazione tra il benessere mentale e una mutazione del gene che influisce sulla produzione di serotonina, “l’ormone del buonumore”. Esistono due versioni del gene una “lunga” ed una “corta” e quest’ultima sembra associarsi a una possibilità maggiore di incorrere nella depressione; i danesi sono il popolo con meno individui dotati della versione “short” del gene. Nel rapporto mondiale della felicità la Danimarca risulta infatti proprio il Paese più felice al mondo, mentre l’Italia per due anni consecutivi si è classificata solo al 50esimo posto. Ma qual è il vero segreto della felicità?
Da una ricerca scientifica dell’università di Harvard risulta che, oltre all’aiuto della genetica, l’amore sia la risposta, o meglio, mantenere rapporti affettivi decenti. La ricerca è iniziata nel 1938 con un campione di 268 matricole dell’università. È stato studiato anche un secondo gruppo di 456 studenti provenienti da famiglie svantaggiate di Boston. Il campo d’indagine riguardava tutto quello che interessava i ragazzi e la loro vita testato almeno una volta l’anno, per 78 anni. I soggetti sopravvissuti allo studio sono pochissimi ma ad oggi, continuano a rispondere alle domande degli scienziati e lo stesso fanno i loro figli e nipoti.
I fondatori dello studio erano interessati a capire “quali fattori contribuiscono a quella che viene vista come una vita di successo, quindi vita felice”. In realtà già dopo i primi anni dello studio si vide che una vita di successo non sempre coincide con una vita felice. Sembra che un fattore per arrivare alla felicità sia prendersi cura di chi ci sta intorno. Nel ’66 si comprese che i fattori che avevano influenzato di più la felicità dei ragazzi, ormai adulti, fosse un’infanzia piena d’affetto. Questo non significa che chi non ha avuto questa fortuna non possa essere felice ma che si può imparare ad amare, pare che l’amore insegni amore.
Insomma, come Ricard che a settant’anni è riuscito a coordinare amore, genetica e i fattori ambientali ideali, si è sempre in tempo per invecchiare felici.