Ventinove anni di Verbania, ora anche un po’ romano. Non ha peli sulla lingua Daniele. Recita da quando ha diciotto anni, scrive e la sua carta vincente è l’ironia.
E’ uno dei comici di Colorado e la sua coraggiosa idea gli ha assicurato un seguito folto ed etero-geneo. Perché Daniele ha deciso di portare in un programma comico il tema dell’omosessualità, dei clichè e degli stereotipi che spesso lo accompagnano. Ha addirittura fatto coming out a Colorado, ricordando di quando “molto coraggiosamente”, come lui stesso racconta in chiave comica, ha affidato alla zia il compito di avviare il passaparola in famiglia. Daniele non ha paura degli stereotipi, anzi crede che vadano accettati. «Le domande scomode? – ci dice- La prendo sulla risata e, rispondendo, cerco di spiegare a modo mio la diversità». E’ l’autore del video, ormai virale, in cui, con la solita ironia che lo contraddistingue, ha raccontato la battaglia degli LGBT disabili, per l’affermazione del loro diritto alla sessualità.
Daniele ci parla di sé, in un’intervista che è più simile ad una chiacchierata tra amici perché con lui, tra una risata e l’altra, la semplicità e la naturalezza sono di casa.
Fai l’attore, scrivi e sei uno dei comici di Colorado. Chi è Daniele Gattano?
Nasco come attore, ho frequentato diverse scuole di recitazione. Rispetto al percorso attoriale, che ti porta a interpretare sempre ruoli già prescritti, ho sentito l’urgenza di scrivere qualcosa di mio. Quindi ho realizzato questo monologo sul coming out, raccontando le reazioni dei mie genitori. Così sono entrato a far parte del laboratorio di Zelig qui a Roma. Ho visto che il tema interessava e mi ci sono voluto divertire. Poi è sempre uno sfogo. Quest’anno ho avuto la possibilità di portarlo in tv a Colorado ma sono quasi tre anni che mi cimento con i miei monologhi.
Come nasce l’idea di ironizzare in tv sul quotidiano di un gay e tutti gli stereotipi a questo collegati?
Quando scrivo i miei testi parlo sempre in prima persona. A volte un po’ il peso della bandiera lo avverto. Talvolta quando racconto le mie esperienze passano degli stereotipi, come il fatto di avere una bambola da bambino o il semplice non amare andare allo stadio, e vengo accusato di avvallarli. Penso che ad oggi più che andare contro lo stereotipo bisogna farlo accettare. Secondo me c’è anche un po’ di “omofobia” all’interno del mondo omosessuale e questa è una lotta a cui tengo particolarmente.
Il tuo coming out, quello vero, fu cosi “divertente” come lo racconti?
Di per sé sicuramente non l’ho vissuto in maniera divertente, a suo tempo. Però il mio coming out fu proprio quello. Fu di fatto un outing. L’ho detto a mia zia che l’ha riferito a mia nonna e lei a mia madre. Quello che racconto di base è sempre vero, lo esagero in alcuni punti, però effettivamente è andata cosi. Ho fatto fare un po’ il passaparola in famiglia, molto coraggiosamente – ride.
I tuoi monologhi come nascono? Sono tutte esperienze vissute quindi?
Sì. Mi sono ripromesso di raccontare sempre partendo dal vero. Questo secondo me paga. Cerco di instaurare con il pubblico un rapporto sincero. Poi logicamente ci sono delle cose un po’ caricate per una serie di meccanismo comici. Però è tutto autobiografico.
Quindi davvero ti sei sentito rivolgere quelle assurde domande di cui parli in uno dei tuoi monologhi a Colorado? E’ tutto “tratto da una storia vera”? Come reagisci a queste domande?
Sì. La più comune è quella “fra i due sei l’uomo o la donna?” oppure “visto che sei gay se potessi rinascere preferiresti nascere donna?”. Io non mi impermalosisco mai e rispondere a queste domande è anche un modo per affrontare il tema della diversità. La prendo sulla risata. Mi piace in primis essere autoironico sul tema dell’omosessualità.
Come è stata accolta dal pubblico la tua presenza a Colorado? Più critiche o più complimenti?
Pensavo ci fossero più critiche, anche dallo stesso mondo gay. Essendo quello che ho deciso di affrontare ironicamente un tema particolarmente delicato, pensavo molti avessero da ridire su alcuni passaggi. Invece pochi sono stati i commenti negativi e di questo sono rimasto felicemente stupito.
Parli della recitazione come del tuo primo amore. Come nasce e come porti avanti questa passione?
Ho iniziato a recitare a 18 anni. Ho studiato prima a Genova, poi a Bologna. Ho cominciato a fare teatro subito dopo gli studi: Shakespeare, Goldoni.. Poi è subentrato l’aggancio con Zelig Lab e ora ho la bellissima possibilità, per il secondo anno a Roma, di recitare un ruolo che davvero sento mio ne “Le scoperte geografiche”, che è andato molto bene a teatro. L’unica nota dolente: per interpretare il mio personaggio devo fare la barba e sono orrendo – ride.
Hai realizzato un video in collaborazione con Jump in cui, con l’ironia che ti contraddistingue, si cerca di raccontare e sdoganare il tabù della sessualità degli LGBT disabili. Come nasce questa collaborazione, questo video e come è stato accolto dal pubblico?
Nel periodo in cui registravo le puntate di Colorado mi ha contattato su Facebook Giuseppe Varchetta, il “frontman” di questo video, chiedendomi di ironizzare sulla realtà dei disabili LGBT nel programma televisivo. Lì sarebbe stato alquanto complicato. Così abbiamo deciso di vederci a Bologna ed è nata l’idea. Inizialmente avrei dovuto realizzare un video amatoriale con il cellulare ma poi, preso dalle mie solite manie di grandezza, ho deciso di contattare l’associazione culturale Nahia, che ci ha dato una mano a livello tecnico: suoni e riprese. Ho incontrato il gruppo Jump, abbiamo fatto una chiacchierata e dal nostro confronto è nato il video. Da cui è emersa anche la predilezione di Giuseppe per Di Battista e la mia per Chris Martin – ride. L’eccesso di educazione e pudicizia nei confronti dei disabili diventa spesso discriminazione. Ed è questo che abbiamo voluto raccontare e contrastare. Il video ha veramente camminato da sé. L’ho pubblicato sulla mia pagina Facebook e anche Jump e Nahia hanno fatto lo stesso ed è diventato virale. Questo a dimostrazione che in Italia c’è anche voglia di contenuti, quelli buoni. In questa settimana è stato travolto da una nuova onda mediatica grazie a Repubblica, che l’ha piazzato in prima pagina. Anche il fatto che Adinolfi, pur criticandolo, ne abbia parlato e lo abbia visto un pò mi eccita – ride.
Cosa pensi della situazione attuale dei diritti LGBT in Italia. Unioni civili, Stepchild Adoption, legge Cirinnà. Quanta strumentalizzazione e quanta concretezza?
Tanta strumentalizzazione per quanto riguarda i bambini e la genitorialità. C’è tutta questa macchina mediatica in cui il solo uso delle parole è sbagliato. Di per sé il termine Stepchild Adoption è uno scioglilingua che crea distanza. Io vedo in Italia una società che va avanti e una politica che non sta al passo con la gente. Le piazze piene a favore del Dll Cirinnà hanno un valore. Sicuramente dei passi avanti sono stati fatti, quindi voglio vedere il bicchiere mezzo pieno.
In questo momento della tua vita ti senti soddisfatto, appagato? Progetti e programmi in cantiere?
Sono più che soddisfatto. Sono veramente contento e spero vada sempre così. Sicuramente partirà un piccolo tour di sette date del mio spettacolo di stand up comedy che si chiama “Fuori”. Debutterà nella settimana contro l’omofobia, a maggio, nel nord Italia. Quindi in questo periodo sono impegnato nella scrittura di testi nuovi. A novembre riprendiamo con “Le scoperte geografiche” a Milano e poi ci sarà qualche altra occasione televisiva. Però ad oggi la tv non è la mia priorità.
Come ti vedi tra dieci anni?
Tra dieci anni vorrei arrivare ad avere un potere decisionale forte. Quello spessore che mi permetta di essere totalmente indipendente e vivere di questo, la recitazione. Ad oggi sto ancora facendo la “gavetta” e c’è sempre qualcuno dall’alto che mi dice “questo si, questo no”, giustamente, perché mi trovo a lavorare in contesti non miei. Dunque spero di riuscire a realizzarmi appieno sotto il profilo lavorativo.