Cosa sarebbe un albero senza un terreno in cui affondare le proprie radici? Sembra impossibile persino immaginarlo. L’unica a riuscirci è Ginevra, la piccola protagonista di “Un albero al contrario”, il primo toccante romanzo di Elisa Luvarà, edito da Rizzoli.
È proprio così, infatti, che Ginevra si vede: un albero al contrario perché, invece di ricevere nutrimento dalla terra e da solide basi, come una famiglia unita, ha le radici rivolte verso il cielo e, quindi, spesso scosse dal vento, ma anche accudite dalla bontà degli uccellini di passaggio.
“Scrivo da quando ero bambina, è sempre stata la mia passione, tanto che, quando ero in Comunità, per incoraggiarmi, mi hanno regalato una macchina da scrivere e questo mi ha permesso di coltivare il mio talento,” ci ha raccontato in questa intervista esclusiva Elisa Luvarà. “Quando sono stata affidata alla mia famiglia attuale, la mia mamma affidataria mi ha suggerito di raccontare la mia vera storia, pensando che potesse essere utile per me stessa, ma anche per chi la volesse leggere. Riflettendoci mi sono resa conto che sentivo proprio l’esigenza di guardarmi indietro e di affidare i miei ricordi alla carta, così ho deciso di accettare il consiglio della mamma e mi sono messa a scrivere. Ho iniziato questo viaggio dentro me stessa come un’avventura senza meta e senza considerare di far leggere i miei pensieri a nessuno. Inizialmente si è trattato quasi di un diario che, spinta dagli amici, ho deciso di mettere in Rete, per condividere il mio bagaglio di esperienze. È così che Rizzoli, il mio editore, mi ha scovata e mi ha aiutata a risistemare il testo, trasformandolo in un vero e proprio romanzo che può essere letto davvero da chiunque, ragazzi, genitori e addetti ai lavori”.
Quando Ginevra, la protagonista del romanzo, fa il suo ingresso in Comunità ha con sé solo due sacchi neri per contenere un bagaglio decisamente pesante, fatto di dolore e solitudine, ma anche di fiducia e speranza. Dopo tanti rifiuti, Ginevra si augura che la Comunità possa essere un giardino dove ricominciare da capo e mettere nuove radici, ma la paura di ricevere altre delusioni la turba profondamente. Sarà solo grazie al colorato mosaico degli abitanti della Comunità stessa che Ginevra tornerà ad avere fiducia in se stessa e scoprirà il vero calore di una famiglia che è ben diversa da quella che siamo soliti immaginare, ma, non per questo, è meno unita e accogliente.
C’è Tilde, un’educatrice dal cuore di mamma, Verde, una compagna di stanza che sembra quasi una sorella e Agape, un ragazzo misterioso che ben presto inizia a far battere il cuore di Ginevra.
Inizia così un romanzo intenso e commovente: vibrante come solo le storie vere sanno essere, divertente e profondo come la vita stessa quando ci mette alla prova, ponendoci di fronte a sfide anche più grandi di noi.
Come ci hai spiegato, questo romanzo d’esordio contiene molti aspetti autobiografici. Cosa ti ha spinto a raccontare la tua storia attraverso la voce di personaggi inventati, come Ginevra e i suoi compagni di avventura? Cosa ti ha ispirato?
C’è molto di Elisa in Ginevra, la piccola protagonista del libro, e anche le storie dei suoi amici all’interno della Comunità sono ispirate a storie di bambini che io stessa nella mia infanzia ho conosciuto. Attraverso questi personaggi, ho cercato di trasformare una realtà come la Comunità, che spesso può essere dura e fredda, in un vivaio dove la personalità di ogni bambino, per quanto ferita e complessa, può rifiorire, grazie al sostegno degli educatori e degli stessi compagni.
Quale messaggio ti preme trasmettere, oltre al desiderio di condividere una storia dolorosa, ma colma di speranza per il futuro? Qual è la tua idea di famiglia?
Il messaggio che vorrei mandare con questo romanzo è che si può essere figli in tanti modi e di tante persone contemporaneamente, oltre ai propri genitori biologici: ad esempio si può essere figli di un educatore che si è preso cura di noi in un momento di difficoltà, di una famiglia affidataria provvisoria e di chi ci terrà con sé tutta la vita. Il modo di essere ‘genitori’, invece, è uno solo. Il genitore è colui che si occupa di un figlio a prescindere dai vincoli di sangue. Quelli che io oggi considero i miei genitori non sono i miei genitori naturali, ma coloro che, alla fine e fino alla fine, si prenderanno cura di me con un amore e una fiducia che vanno oltre la parentela. In questo modo vorrei anche far riflettere sul concetto di famiglia attuale. Spesso si hanno dei pregiudizi sugli Assistenti Sociali che allontanano un bambino dal suo nucleo familiare di provenienza. Si pensa che sia una violenza inutile e ingiusta, ma in realtà bisogna rendersi conto che quando si porta via un bambino da una famiglia il più delle volte lo si fa per proteggerlo e perché non si potrebbe fare altrimenti. Si deve quindi poter fare in modo che questi bambini siano accolti da altre famiglie che decidano di prendersene cura. Solo così tanti bambini in difficoltà, come sono stata io, potranno rinascere a nuova vita e tornare a esprimere se stessi in totale consapevolezza e libertà.
Spiegaci questa immagine dell’albero al contrario, così poetica e metaforica nello stesso tempo.
Ginevra è un ‘albero al contrario’ perché di solito, come l’albero attinge nutrimento dalle radici, tutte le persone sono legate al proprio passato. Per Ginevra, invece, le radici non sono nel terreno, ma in alto, esposte al vento e alle intemperie, apparentemente senza nulla di concreto cui ancorarsi. È solo grazie agli uccellini di passaggio e alle loro premure e gentilezze che le radici di Ginevra si nutrono, dando vita, briciolina dopo briciolina, a un albero sempre più rigoglioso, proprio come tutti gli altri. È così che Ginevra immagina se stessa e questa immagine le dà il coraggio per non arrendersi alla malinconia e alla solitudine, aprendosi al prossimo. Ginevra si nutre del presente e non del proprio passato e attinge dalla propria esperienza quotidiana e dagli incontri di ogni giorno. Gli uccellini sono gli educatori, ma anche tutti coloro con cui Ginevra e tutti i bambini come lei possono venire in contatto. Io stessa ho vissuto a lungo in Comunità e in tante famiglie affidatarie diverse prima di essere accolta dai miei genitori affidatari di oggi.
Affido, adozione, Comunità e genitorialità in genere sono temi complessi che devono essere affrontati con la giusta delicatezza. Come si inserisce il tuo romanzo in questo dibattito? Che spunti di riflessione potrebbe dare?
Nel romanzo racconto dettagliatamente la vita in Comunità. Alcuni aspetti sono edulcorati e narrati come in una fiaba, ma la maggior parte sono ispirati a esperienze reali che dimostrano che può esistere un’alternativa alla famiglia, ma che deve essere solo di passaggio, una sorta di preparazione a una nuova vita per tutti i bambini che non faranno più ritorno nelle loro famiglie d’origine, ma che comunque hanno diritto di esprimere loro stessi in nuovi contesti, mettendo radici in nuovi nuclei familiari. La Comunità potrebbe essere paragonata a una stazione ferroviaria molto caotica nella quale il bambino cresce sano, ma percepisce comunque un forte senso di provvisorietà che può svanire solo con l’ingresso in una nuova famiglia affidataria in cui realizzarsi.
La Legge Italiana in tema di adozione e affido rischia di essere sempre più obsoleta. Cosa faresti se fossi al posto del legislatore?
In Italia, purtroppo, la Legge sulle adozioni è ormai superata. Ci sono tantissimi bambini che, troppo spesso per cavilli burocratici, non vengono dichiarati adottabili, ma nello stesso tempo non trovano un affido stabile, anche se sono destinati a non tornare più nelle famiglie di origine, perché non idonee, e quindi crescono nell’instabilità. La parola ‘affido’ spesso spaventa le famiglie, ci sono molti pregiudizi. Se fossi al posto del legislatore io lascerei ancora più spazio alla volontà del bambino. È giusto preservare il rapporto col genitore naturale, ma non ‘a ogni costo’, soprattutto quando a rimetterci di fatto è proprio il bambino che, invece, in un altro contesto rifiorirebbe. Ci vorrebbero Assistenti Sociali ed Educatori sempre più pronti e preparati, oltre che intuitivi e in grado di mettersi nei panni del bambino e bisognerebbe facilitare i procedimenti di adottabilità di tanti bambini che, in ogni caso, non potrebbero ricongiungersi coi genitori naturali, per poter permettere loro di crescere in nuove famiglie, aiutando così genitori e figli a trovare ognuno le proprie radici.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Continuerai a scrivere?
In futuro vorrei continuare a raccontare la storia di Ginevra con un nuovo romanzo, perché tante cose dovranno ancora succederle, ma vorrei anche esporre altre storie legate a questi temi. Di affido, adozione, Comunità, famiglia e genitorialità in generale non si parla mai abbastanza in questo modo. Sono convinta che si dovrebbe dibattere molto di più su come far fronte alle difficoltà che tanti bambini come Ginevra e come ero io incontrano ogni giorno in queste realtà in cui è difficile trovare un’identità. Insomma, ho ancora tanto da dire e da raccontare!