Il calcio è forse, anzi senza dubbio lo sport più conosciuto e seguito al mondo. Milioni e milioni di tifosi che seguono la propria squadra, la supportano ed esaltano i propri beniamini.
A Roma nel quartiere periferico di Corviale c’è un’altra storia che parla di calcio, di un calcio diverso però che opera in contesti giovanili a rischio cercando di promuovere l’impegno sociale unito ad un’attività pedagogica e ed educativa. Corviale soprattutto con l’edificio del Serpentone rappresenta una situazione di degrado ai margini della Capitale, l’edificio è un esempio di edilizia popolare di 9 piani, lungo circa 9km con 1202 appartamenti. I problemi maggiori sono causati dall’occupazione abusiva di centinaia di appartamenti da parte di persone che vivono in povertà e ai margini della legalità, la mancanza di progetti di riqualificazione, alti tassi di dispersione scolastica, criminalità e disoccupazione.
Il Calcio sociale nasce nel 2005 come società sportiva dilettantistica Onlus con l’obiettivo di adottare il calcio come metafora della vita promuovendo i valori dell’accoglienza, del rispetto delle diversità e della corretta crescita della persona. Le regole del calcio tradizionale vengono sovvertite e ad esempio gli arbitri sono i capitani della squadre, un giocatore non può segnare più di tre gol a partita e le squadre sono miste, tutto questo per favorire non solo un modello di gioco ma proprio un modo di vivere accogliendo l’altro senza discriminazioni di nessun genere.
Nei giorni scorsi la Onlus ha organizzato un kick-off meeting di Cross: Cohesion and Re-integration Opportunities through Social Soccer, un progetto europeo finanziato da EACEA, l’Agenzia Europea per l’Educazione, l’Audiovisivo e la Cultura. Il Progetto mira a coinvolgere più di 450 ragazzi e adulti provenienti da cinque diversi paesi : Italia, Francia, Inghilterra, Bulgaria e Ungheria. L’obiettivo è quello di promuovere l’inclusione sociale e contrastare i fenomeni di razzismo e bullismo sia dentro che fuori dal campo.
Il suo fondatore Massimo Vallati sa bene cosa sia il mondo del calcio e del tifo avendolo vissuto per anni: “Da bambino giocavo a calcio a livello agonistico, vivevo di calcio. A 12 anni inizia la mia passione calcistica come supporters della Lazio, quindi entro negli ultras della Lazio e questa esperienza sia sui campi di calcio che negli stadi mi porta a vivere un contrasto fortissimo tra quella che era per me la bellezza del calcio alla violenza che c’era in quel mondo, dai procuratori che venivano a guardarci, ai genitori che facevano a botte durante la partita, la tensione fuori e dentro il campo, la Curva che diventava un luogo per fare politica estrema, la curva come scuola di razzismo e antisemitismo. Stare in curva e cantare e saltare con 15 mila persone è una delle cose più belle che ci sono al mondo il problema è che poi il tutto degenerava e quella bellezza veniva rovinata”.
“Io ero un ultras degli Eagles Supporters che è un tifo storico della Lazio e da una costola di questo gruppo sono nati gli Irriducibili e mi ricordo che il tema della domenica non era più che cori facciamo, come ci divertiamo ma era la posizione dove gli Eagles Supporters avrebbero messo il loro striscione e dove lo avrebbero messo gli Irriducibili e si litigava per lo spazio dove lo striscione poteva avere più o meno visibilità. Quest’immagine dello striscione è una metafora per rappresentare la realtà. Per questo a 13 anni ho deciso di chiudere, dai 15 anni ai 27 non ho più saputo niente di calcio. A 19 anni sono entrato in Polizia e siccome ero un’attivista politico mi hanno mandato a fare servizio dentro gli stadi e quindi vedo l’altra faccia della realtà, mi sono ritrovato a prendere i sassi, i cacciaviti, e la prima partita fu Vicenza – Lazio, in quel match ci fu una carica mentre io scortavo i tifosi biancocelesti e per me quello fu un tornare indietro. Ho girato tutti gli stadi d’Italia, sono stato domeniche per 15 ore consecutive a seguire gli ultras e ho visto tutta la follia del calcio in tutte le sue dimensioni”.
Poi la svolta con la creazione del progetto del Calcio Sociale: “Tutto questo mi ha portato a 27 anni a scrivere questo progetto e a pensare che la bellezza del calcio poteva andare oltre questa linea, che il calcio è uno strumento sociale di crescita del paese e che si poteva creare qualcosa di diverso, ed è da qui che nasce il calcio sociale. Quando ho iniziato questo progetto tutti mi prendevano in giro perché un modo diverso di fare calcio: si gioca con i coefficienti, questa è la prima regola del Calcio sociale, le squadre vengono composte in base a tali coefficienti, 1 è il meno forte e 10 è il più forte, e per questo sono tutte uguali”.
“Lo slogan del Calcio sociale è: “Vince solo chi custodisce”, quindi il focus si sposta dal potere economico al potere della relazione, vince chi sa custodire le relazioni umane, chi sa apprezzare la bellezza e le potenzialità che ognuno di noi ha, ed è questa la forza del progetto. A Calcio sociale non puoi iscriverti come squadra ma solo come singolo. Il primo centro di Calcio sociale in Italia non doveva nascere a Corviale ma a Monte Verde, la fortuna invece ci ha portato qui e a farlo riqualificando un bene sequestrato custodito da un vigilantes della regione Lazio, un bene devastato in periferia contrassegnato dall’abbandono urbanistico e sociale ed è lì che abbiamo costruito il nostro centro di Calcio sociale”.