Si dice che quando una donna prepara un piano il diavolo si siede alla sua scrivania. Nell’accezione più positiva di tale concetto, scevra di intenzioni vendicative o diaboliche, è proprio questo che sembra fare Sarah Dietrich in questo primo album da solista, Una storia mia, uscito lo scorso 31 marzo per Modern Life/distr. Audioglobe – Believe Digital. Otto brani che raccontano il riscatto, la rinascita, il superamento del vuoto lasciato da chi ci ferisce e, soprattutto, il ritrovamento di noi stessi, di quella forza che non sapevamo di avere finché non viene messa a dura prova dal tradimento o dalla disillusione, dall’abbandono o dalla delusione.
C’è un momento nel quale ci si rialza facendo leva solo sulle proprie gambe, nel quale ci si rende conto che non esiste giustificazione, non esiste elemento esterno che possa impedirci di stare bene. Si tratta di un percorso lungo e doloroso che quando raggiunge questa consapevolezza diventa, fuori da ogni retorica, una rinascita.
Sarah parla di questo tipo di donna che, al di lá del genere, vuole rappresentare la capacitá di superare ostacoli che i mostri della coscienza possono proiettare come spaventosi nella nostra anima. Solo quando si guardano negli occhi, dopo aver scrutato bene dentro noi stessi, si comprende quanto tutto dipenda dal singolo, quanto quegli orchi possano diventare docili gattini sotto la forza della determinazione e dell’autostima.
Prodotto da The Niro e da Michele Braga, questo primo album della cantautrice romana, prima voce degli Ardecore, rappresenta un piccolo gioiellino di cantautorato italiano, dalla veste pop, con ricami rock e sfumature aeree conferite dalle doti vocali di Sarah che lasciano intravedere la formazione lirica e i virtuosismi vocali. L’arrangiamento di Michele Braga e di The Niro ne sostiene la qualità, con le raffinate chitarre di Davide, le sonorità moderne, i sentori metallici.
Si va da pezzi più melodici, come Ma tu o Costellazioni con gli archi romantici di Andrea Ruggiero, a quelli più rock come Io non sto male o Implacabile. Un percorso introspettivo tramite un dialogo profondo che si muove tra razionalità e sogno, tra pragmatismo e spiritualità.
L’amore viene cesellato e analizzato da vari punti di vista; il centro, tuttavia, rimane sempre il nostro Io, che non è ego ridondante bensì quell’essenza che ognuno deve individuare e che, se se ne comprendono le potenzialità, nessuna persona o evento esterno possono scalfire.
Una storia mia, è una storia di tutte le donne?
Esattamente. Ho scelto questo titolo, perché il disco è composto da otto pezzi, otto racconti che se letti in gruppo possono comporre un’unica storia. È una storia mia nel senso che il disco è abbastanza autobiografico, però credo che moltissime persone possano rispecchiarsi in quello che dico. Tra l’altro il titolo viene da un verso che sta all’interno di un brano che è Non sto male. Il concerto coincide anche con il fatto che è il mio primo album, la prima volta nella quale metto insieme le mie cose.
Come sta andando questa prima esperienza da solista?
Io sono arrivata a questo disco dopo un percorso lunghissimo, studio musica fin da piccolissima, poi ho intrapreso il canto lirico in conservatorio, ho fatto delle esperienze in ambito classico, ho lavorato per molto tempo con gli Ardecore. Ad un certo punto, nel 2015, ho sentito la necessità di far uscire qualcosa che fosse veramente mio, onesto e trasparente. Però naturalmente avevo bisogno di un orecchio esterno che potesse aiutarmi negli arrangiamenti e nella produzione artistica e l’ho trovato in The Niro, Davide Combusti.
Hai anticipato la mi domanda, come è nata la collaborazione con The Niro e Michele Braga?
Io ho voluto proprio lui, l’ho cercato perché è un cantautore che stimo da molti anni, ho sempre apprezzato il suo modo diverso di fare cantautorato, a parte per l’uso della lingua inglese ma anche per il suo gusto negli arrangiamenti molto particolare. Lui nel frattempo collaborava con Michele Braga, autore di colonne sonore, per fare un esempio quella di Jig Robot, candidato al David di Donatello. Quindi sono andata da Davide, gli ho sottoposto una serie di appunti, idee, sono arrivata con tantissimo materiale e abbiamo iniziato a lavorare, ormai due anni fa. Poi da lì è nata oltre che una collaborazione musicale, perché oltre che produttore ora lui suona con me, anche una grande amicizia. Ci tenevo molto che questo disco fosse non dico perfetto ma lo specchio di quello che ero io in quel momento e di tutto quello che mi aveva portato a cantare certe storie.
Io non sto male dici “non credo all’esitazione sarò io la soluzione” e ancora “io sono ancora io, io non sto male senza di te”. Un canto di riscatto, il momento in cui dopo una grande delusione si capisce che sta a noi decidere di rialzarci e scopriamo una forza che non sapevamo di avere?
Esatto! Questa è proprio la frase che racchiude il senso di tutto il disco. La donna di cui parlo in questo album, al di lá che debba affrontare la fine o l’inizio di un rapporto, o addirittura che debba affrontare un dialogo con il divino come ipotizzo in Ma tu, deve rimanere sempre ancorata alla sicurezza di quello che è, che non è ostentazione, arroganza o presunzione. Questa donna si concentra sulla sua essenza, su quelle certezze che, indipendentemente da quello che succede intorno, rimangono sue e nessuno le può toccare. Non bisogna trovare la sicurezza in qualcosa di esterno, come può essere un compagno o una compagna, bensì in noi stessi.
Protagonista di questo disco è sicuramente l’amore di cui parli da vari punti di vista: c’è l’illusione e l’addio, la decisione la determinazione il tutto mettendo al centro il ritrovamento della propria individualità. Una sorta di percorso, di autoanalisi?
È come se fosse un viaggio introspettivo, dove il centro rimane sempre l’emozione e la sensazione provata dal protagonista, che sia un uomo o una donna. Credo sia fondamentale analizzare sempre dentro noi stessi, capire cosa stiamo facendo, cosa ci aspettiamo senza dare troppo all’esterno la responsabilità del percorso che prende la nostra vita.
Come hai vissuto esperienze quali XFactor o Sanremo?
XFactor è stata un’esperienza surreale, nel senso che ho deciso di iscrivermi dopo un sogno: io non avevo mai pensato di partecipare ad un talent, ho fatto un sogno molto privato e particolare nel quale una persona a me molto cara mi spingeva a partecipare ad XFactor per una serie di motivazioni. Io mi affido molto a queste sensazioni perché mi succede spesso di fare questa sorta di sogni premonitori. È stato tutto molto veloce, i provini si fanno ad una distanza davvero molto ravvicinata e mi sono ritrovata nel programma senza neanche rendermene conto. È stata sicuramente un’esperienza formativa, innanzitutto mi ha insegnato i tempi televisivi che sono molto diversi da quelli musicali, si tratta di televisione e ha delle modalità molto diverse rispetto a quelle alle quali siamo abituati noi musicisti quando ad esempio suoniamo nei locali. Poi ho avuto la possibilità si lavorare con dei grandissimi professionisti. Io consiglio sempre di informarsi molto bene su quello che è realmente un talent show perché è anche molto provante al livello psicologico, c’è molta competizione, tanti meccanismi, quindi per me è stato un percorso molto formativo proprio al livello caratteriale. A Sanremo siamo andati vicinissimi, quello è un sogno che ho da quando sono piccola, uno di quei desideri che tieni nel cassetto e che pensi “chissà, un giorno”. È un tentativo che ho fatto in modo molto leggero e con grande serenità. Siamo arrivati tra i primi 60, ho sostenuto un provino davanti ad una giuria spettacolare quindi è andata già molto bene così.
Hai una formazione nel canto lirico, in questo disco se ne sentono le virtù vocali ma c’è molto pop, inoltre hai sperimentato anche l’alternative folk nel progetto Ardecore. Come definiresti il tuo stile? Cosa cerchi?
A me piace molto sperimentare e si vede molto dal percorso che ho fatto. Mi piace superare i miei limiti, vedere fin dove posso arrivare in vari generi. Fare pop è la cosa che mi diverte di più. Spesso questo stile è associato a qualcosa di leggero o superficiale, in realtà è molto difficile. La parola stessa deriva da popular, quindi fare pop significa dover arrivare a tutti, fare canzoni fruibili a tutti, dall’esperto all’amatore. Questo è il genere che mi da più gusto perché è una sfida.
Implacabile è stato il singolo che ha anticipato il disco, il video è stato realizzato da Daniele Dandaddy Babbo, la fotografia è di Tania Alineri. Ce ne parli?
Questa canzone è nata in modo molto semplice, in cinque minuti, girando su un paio di accordi, con Davide e Michele. Anche il testo è nato in pochissimo tempo. Implacabile è proprio il manifesto della donna di cui parlavamo prima, la donna che trova in se stessa la soluzione, che non molla, che va avanti. Volevo un video che desse un po’ l’idea di vortice, di movimento ma che allo stesso tempo fosse incentrato su di me, che rispecchiasse quello che dice la canzone. Volevo quindi pochi elementi, mi piace molto la regia di Daniele che ha realizzato in pieno quello che volevo, una persona, con un gioco di camere che si legava perfettamente sia al testo della canzone che al sound più rock del pezzo.
TRACKLIST
01 IO NON SO DIRE CIAO
02 DENTRO QUESTA NOTTE
03 MA TU
04 NON STO MALE
05 IL MAGO
06 IMPLACABILE
07 ADIEU
08 COSTELLAZIONE
https://youtu.be/qtya7JykMaw