Se il grigiore si sta insinuando nelle vostre giornate, ecco il farmaco giusto per voi : Andy Warhol e il caldo abbraccio di energia Pop. Per celebrare i novant’anni dalla sua nascita, ben centosettanta opere provenienti da collezioni private sono esposte al Complesso del Vittoriano, dove resteranno fino al 31 marzo del 2019, in una mostra curata in modo tanto suggestivo da non poter contenere le vostre emozioni… soprattutto quelle più di natura pop! In molti hanno impresso nel proprio immaginario le icone warholiane, anche chi non ha mai avuto la possibilità di vedere la serie delle “Campbell’s Soup “ o le serigrafie di Marilyn Monroe ed Elizabeth Taylor, ma basta conoscere anche solo qualcosa di Andy Warhol per poter apprezzare la Pop art, tanto permeante nella cultura di massa. Avete presente la funzione “Pop art” sul cellulare per modificare le foto? Ecco, questo è solo un esempio di come la popolarità di questo filone artistico sia alla portata dei più. Eppure, l’artista, i suoi fini e l’uomo sono più controversi e sottili di quanto si possa immaginare. Ad accogliervi presso l’Ala Brasini del Vittoriano, ci sarà un’esplosione di colore che ha stregato, nei soli primi 5 giorni dall’apertura, più di 7.218 visitatori. La mostra, distribuita su cinque sale espositive, parte dal mondo delle icone fino al legame con la moda, passando per la musica e il disegno. L’esposizione apre I battenti con le origini artistiche della Pop Art, dalle serigrafie e le minestre in scatola Campbell’s Soup, per poi arrivare alla serie su personaggi del calibro di Elvis, Marilyn, Mao e Coca Cola, proseguendo con la sala dedicata al legame di Warhol con la musica, in cui spiccano gli album di cui ha curato la grafica e i simboli passati alla storia, come la mitica banana raffigurata sullo straordinario album di Nico e i Velvet Underground. Oltre, c’è la sala dedicata al legame dell’artista con la moda, dove i ritratti che si alternano agli scatti con la Polaroid, di numerosissime personalità della moda e del cinema, da Giorgio Armani a Valentino, Elizabeth Taylor a Silvester Stallone. Un percorso, questo, che si pone come scopo quello di cogliere quanto più possibile per restituire l’artista e l’uomo. La mostra, infatti, offre la possibilità di scoprire la storia del più pungente interprete della società di massa e del consumismo, l’artista controverso e “l’illuminato sociologo dell’America anni ‘60”, unico nella sua capacità di trasformare in arte i feticci dell’immaginario collettivo americano, anticipando l’instaurarsi del potere dei mass media. Andy Warhol, quarto genito figlio di modesti immigrati cecoslovacchi, era un consumatore di zuppe in scatola, ecco quindi che lui, meglio di ogni altro, spreme la sua genialità rendendo questo bene di prima necessità un’icona dell’arte moderna, lasciando irrompere nell’ambito dell’Alta cultura temi e figure che rimandano alla società, attraverso un bene di consumo, non solo e non tanto americano, quanto di uno specifico spaccato dell’ordinamento sociale. Questo suo rappresentare la società dei consumi fa di lui il primo critico e analista, al punto che Warhol si colloca dentro e fuori la società americana, talvolta andando oltre le convenzioni della società. Non a caso, la sua Factory di New York fu il luogo libero in cui poterono interagire musicisti che divennero miti, come Lou Reed e Mick Jagger, al pari di intellettuali e persone semplicemente bizzarre. Da interprete della società dei consumi ad animatore culturale, produttore musicale e regista, a lui l’omaggio proprio di Lou Reed, con la sua “Walk on the wild side?”, nel cui brano viene ritratta la stravaganza della Factory e di alcuni personaggi che la frequentavano. Quanto ci sarebbe ancora da dire? Tanto, in barba a chi, al tempo disse: “Nel futuro ognuno sarà famoso nel mondo per 15 minuti”.
LA CARICA DELLE 170 OPERE DI WARHOL AL VITTORIANO
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