Crescita salari: Italia vs. area Ocse, un divario evidente - avvisatore.it
Secondo il rapporto dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp), i salari in Italia non sono cresciuti significativamente negli ultimi 30 anni. Mentre nei Paesi dell’area Ocse la crescita media è stata del 32,5%, in Italia è stata solo dell’1% tra il 1991 e il 2022. Nel 2020, durante la pandemia da Covid-19, si è registrato un calo dei salari reali del -4,8%, il più ampio tra i Paesi dell’area Ocse (-33,6%). Questo problema si accompagna alla scarsa produttività, che è stata molto inferiore rispetto ai Paesi del G7. Nel 2021, il divario di produttività tra l’Italia e gli altri Paesi del G7 è stato del 25,5%.
Nonostante la ripresa dopo la crisi pandemica, il mercato del lavoro italiano continua ad affrontare diverse criticità strutturali. Tra queste ci sono i bassi salari, la scarsa produttività, la mancanza di formazione e un sistema di welfare che non riesce a proteggere tutti i lavoratori. Ci sono oltre 4 milioni di lavoratori “non standard” che non hanno alcuna forma di protezione, come gli autonomi, i licenziati o coloro che sono alla ricerca di un’occupazione. Inoltre, c’è una crescente difficoltà delle imprese nel coprire i posti vacanti, creando un divario sempre più ampio tra domanda e offerta di lavoro.
Secondo il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda, “occorrono interventi mirati e celeri per indirizzare il mercato del lavoro verso una crescita più sostenuta, che tenga conto della rivoluzione tecnologica e digitale che sta modificando i processi produttivi”.
Il rapporto dell’Inapp evidenzia anche che una percentuale significativa di occupati in Italia ha pensato di dimettersi dal proprio lavoro. Il 14,6% degli occupati tra i 18 e i 74 anni (oltre 3,3 milioni di persone) ha considerato questa possibilità. Tra questi, l’1,1% sarebbe disposto a farlo anche se comportasse una riduzione del tenore di vita, mentre il 13,5% lo farebbe solo se avesse altre fonti di reddito. Le categorie più propense a dimettersi sono gli occupati dipendenti, quelli che lavorano in organizzazioni di medie dimensioni e quelli che operano nel settore privato.
Inoltre, l’invecchiamento della popolazione e della forza lavoro influisce sul mercato del lavoro italiano. Nel 2023, ogni 1.000 lavoratori di età compresa tra 19 e 39 anni ci saranno più di 1.400 lavoratori adulti-anziani. Settori come la Pubblica amministrazione e il settore finanziario e assicurativo hanno una maggiore presenza di lavoratori anziani rispetto ai giovani.
La partecipazione degli individui agli interventi formativi in Italia è ancora molto bassa. Nel 2022, solo il 9,6% della popolazione adulta tra i 25 e i 64 anni ha partecipato ad attività di istruzione e formazione. Questo dato rappresenta un miglioramento rispetto al 2020 (+2,4%), ma l’Italia rimane indietro rispetto alla media europea (11,9%).
L’apprendistato duale, che combina formazione teorica e pratica sul posto di lavoro, ha una scarsa attrattiva sia per le imprese che per i giovani. Rappresenta solo il 3-4% del totale degli apprendisti in formazione. Inoltre, l’apprendistato per l’alta formazione e la ricerca è poco utilizzato in Italia rispetto ad altri Paesi europei.
Le aziende italiane utilizzano poco gli incentivi all’occupazione. Solo il 4,5% delle aziende ritiene che l’introduzione di programmi di incentivazione abbia influenzato le loro decisioni di assunzione. Le grandi imprese sono più propense a utilizzare gli incentivi rispetto alle microimprese. Le imprese del Mezzogiorno e delle Isole sono quelle che utilizzano maggiormente gli incentivi.
Nonostante la pluralità di incentivi, nessuno di essi è riuscito ad attivare almeno il 50% delle donne. Inoltre, la maggior parte delle assunzioni agevolate per le donne è a tempo parziale. Questo contribuisce a
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