Roma. La security aziendale non è più sinonimo di telecamere, allarmi o guardie giurate. Oggi rappresenta una disciplina manageriale e strategica, parte integrante della governance d’impresa. La sua missione? Proteggere persone, patrimonio, informazioni, reputazione e continuità operativa.
Tra i professionisti che incarnano questa nuova visione in Italia c’è Stefano Bassi, esperto di sicurezza certificato Uni 10459, con oltre vent’anni di esperienza in infrastrutture critiche, ospedali, aeroporti, porti e grandi gruppi industriali.
“La security non è più solo una valida serratura o una telecamera ben posizionata – spiega Bassi – è un approccio sistemico al rischio. Chi guida un’azienda oggi deve capire che la sicurezza è una leva competitiva: rende più attrattivi, più affidabili, più resilienti”.
Negli anni ’90 il Security Manager era visto come il “capo della vigilanza”, con un ruolo limitato a videosorveglianza e controllo accessi. Oggi, invece, la normativa Uni 10459 lo definisce come manager a 360 gradi: un professionista che previene, fronteggia e supera eventi dolosi o colposi in grado di minacciare non solo beni materiali, ma anche asset intangibili come know-how, business continuity e reputazione.
Il Security Manager moderno deve:
analizzare scenari interni ed esterni;
valutare vulnerabilità e rischi;
proporre misure concrete di prevenzione;
supportare i processi decisionali della direzione.
Un errore comune è confondere safety e security.
La safety tutela l’incolumità fisica dei lavoratori da incidenti e malattie professionali.
La security protegge gli asset aziendali da eventi dolosi o colposi, provenienti dall’interno o dall’esterno, che possono generare danni economici e reputazionali.
Ignorare questa differenza significa ridurre l’efficacia delle misure di protezione e non riconoscere il vero valore strategico della sicurezza aziendale.
Il professionista della sicurezza aziendale è oggi chiamato a operare in ambiti che vanno dalla cybersecurity al risk management, dalla protezione dei dati alla prevenzione delle frodi interne.
Protegge dirigenti, dipendenti, fornitori e clienti, ma anche la reputazione aziendale, uno degli asset più delicati. Un danno d’immagine, infatti, può essere più devastante di una perdita economica diretta.
Per Bassi, la security non è solo un affare aziendale: è una responsabilità condivisa tra imprese, istituzioni e territorio.
“Un’impresa sicura è un’impresa che sa dialogare con il territorio. La sicurezza è partecipata, è sinergia, non può essere delegata né vissuta in solitudine”.
Questo approccio “olistico” unisce competenze di geopolitica, criminologia, informatica e scienze sociali, trasformando la sicurezza in valore culturale oltre che economico.
Oggi la security è strettamente legata all’intelligence: OSINT, HUMINT e SOCMINT sono strumenti essenziali per valutare i rischi e tutelare la supply chain.
Le aziende più lungimiranti hanno compreso che la sicurezza non è un costo, ma un investimento competitivo. Essere percepiti come sicuri significa attrarre investitori, clienti e talenti, soprattutto in un contesto globale caratterizzato da minacce ibride e instabilità geopolitica.
Secondo Bassi, il Security Manager del futuro sarà sempre più integrato nei processi aziendali, al fianco dei CEO come consulente strategico.
La sfida dei prossimi anni sarà coniugare trasparenza amministrativa e riservatezza, integrare i Modelli Organizzativi 231 con i piani di security e rendere la sicurezza un parametro di valutazione aziendale al pari di sostenibilità e fatturato.
La conclusione di Stefano Bassi è netta:
“La sicurezza non è mai neutra. O la progetti e la gestisci in modo corretto, oppure diventa fallace. Investire in security significa proteggere non solo ciò che hai, ma anche ciò che ancora non hai. È un modo per dire: ti proteggo, ti rispetto, ti valorizzo”.
La security aziendale è quindi la nuova frontiera della competitività: un pilastro per la reputazione, la resilienza e la continuità del business.
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