Depistaggio indagini sulla strage Borsellino: Prescrizione per calunnia aggravata, cade l'aggravante mafiosa - Occhioche.it
Un nuovo capitolo si apre nella vicenda giudiziaria legata alla strage di via d’Amelio, costata la vita al giudice Paolo Borsellino e ai 5 agenti della sua scorta. La Corte d’Appello di Caltanissetta ha recentemente dichiarato prescritta l’accusa di calunnia aggravata dall’aver favorito la mafia, contestata al funzionario di polizia Maio Bo, all’ispettore Fabrizio Mattei e all’agente Michele Ribaudo. Questi ultimi erano finiti sotto processo per il presunto depistaggio delle indagini sulla strage.
La caduta dell’aggravante mafiosa, già avvenuta in primo grado, ha comportato la prescrizione del reato di calunnia. ‘accusa, rappresentata in aula dal procuratore generale Fabio ‘Anna, dal sostituto Gaetano Bono e dal pm Maurizio Bonaccorso, sosteneva che i tre poliziotti avessero architettato una falsa verità sull’eccidio. Questa ricostruzione avrebbe costretto personaggi come Vincenzo Scarantino, un piccolo delinquente della borgata Guadagna, a fornire una versione non veritiera della fase preparatoria dell’attentato e ad accusare mafiosi estranei all’autobomba di via d’Amelio.
Le dichiarazioni dei falsi pentiti hanno portato all’ergastolo 7 persone innocenti, successivamente scagionate nel processo di revisione. Nel dibattimento si erano costituiti parti civili i figli e il fratello del giudice Borsellino, alcuni familiari degli agenti di scorta e i sette mafiosi ingiustamente condannati per l’eccidio: Gaetano Murana, Giuseppe la Mattina, Franco Urso, Natale Gambino, Cosimo Vernengo, Salvatore Profeta e Gaetano Scotto.
*“Un’indagine manipolata: Le vere responsabilità nell’eccidio di via d’Amelio”
A smascherare il depistaggio fu la Procura di Caltanissetta, che, sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, riaprì le indagini sull’attentato. Questo lavoro di ricostruzione ha permesso di identificare le reali responsabilità nell’eccidio della famiglia mafiosa di Brancaccio.
Il procuratore generale Fabio ‘Anna, al termine della requisitoria, ha parlato di “un tradimento da parte degli apparati dello Stato che non può essere perdonato”. Questa sentenza, tuttavia, non chiude definitivamente il caso, lasciando ancora aperte numerose questioni e interrogativi sulla strage di via d’Amelio e sul ruolo svolto da alcuni apparati statali nelle indagini.
La vicenda giudiziaria legata alla strage di via d’Amelio continua così a essere un capitolo complesso e controverso della storia italiana, in cui la ricerca della verità e della giustizia si intreccia con le ombre e i depistaggi che hanno caratterizzato le indagini.
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