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Intervista a Marco Visentin, autore de “I Ditteri”

Cosa accadrebbe all’umanità se si riuscisse a dimostrare che il modo di comunicare delle mosche e degli esseri umani sono intercambiabili e che, addirittura, questi insetti, solo all’apparenza fastidiosi per l’uomo, hanno in realtà facoltà telepatiche? L’entomologa Silvia K. ne è convinta ed è in attesa che una commissione scientifica approvi o meno la validità delle sue ricerche.

Inizia così “I Ditteri”, Licosia Edizioni, il romanzo d’esordio dell’autore romano Marco Visentin, un intenso excursus, tra reale e surreale, che racconta la vita di una donna alla ricerca spasmodica di risposte alle domande fondamentali sul senso della vita che tutti ci poniamo, ma che, presi dalla caotica quotidianità, finiamo per tralasciare.

Tra elementi fantastici e fantascientifici, lo stile ammaliante e già maturo dell’autore, ci conduce, attraverso una spirale quasi onirica, in un mondo in fondo non troppo distante dal nostro, nel quale misteriose organizzazioni di stampo massonico la fanno da padrone all’insaputa dei più e chi ne viene inglobato finisce per perdere la propria identità in favore di un’evoluzione in cui mosche e uomini potrebbero essere un tutt’uno.

Attraverso il linguaggio della fantascienza e del sogno, Marco Visentin fa una critica sottile, ma decisa alla nostra società sempre più corrotta, nella quale il progresso sembra non essere più il faro dell’apertura, ma solo lo scettro del controllo del più forte sul più debole. Un esordio intenso per un autore di grande talento, che è, senza dubbio, il primo passo di un percorso letterario innovativo e interessante.

Il libro verrà presentato al pubblico il prossimo 12 gennaio alla Biblioteca Raffaello (Anagnina, Roma), il 2 febbraio alla Biblioteca Tullio De Mauro (San Lorenzo, Roma) e il 16 febbraio alla Biblioteca Goffredo Mameli (Pigneto, Roma).

 

Quando e da dove nasce l’idea per questo innovativo romanzo d’esordio? Raccontaci cosa ti ha ispirato.

 

Si tratta di un romanzo dalla gestazione molto lunga. Avevo scritto diversi racconti, anche pubblicati da case editrici importanti come Einaudi e Adnkronos Libri, ispirati al realismo magico, alla poetica dell’assurdo e alla distopia. Contemporaneamente avevo lavorato a un poema sul destino dell’umanità. La volontà, risalente alla fine degli anni Novanta, era di lavorare su testo in prosa lungo, un romanzo, avente per oggetto l’introduzione di elementi distorsivi della realtà e che riguardasse l’intero genere umano e la sua evoluzione.

Poi è capitato casualmente che, durante un processo di selezione del personale presso un’importante banca, mi imbattessi nel lemma «ditteri». Questa parola mi veniva incontro per il suo essere termine medio e poco conosciuto tra i termini più noti ‘insetti’ e ‘mosche’ ed esprimeva una poetica dell’incompletezza e della medietà che volevo sviluppare. Ditteri poi etimologicamente significa «due ali»: è un nome che evoca dunque opposizione, alienazione, dialettica.

 

Dalla letteratura, al cinema, hai predecessori decisamente illustri che hanno raccontato a modo loro l’interazione tra mosche ed esseri umani: come ti inserisci in questo solco narrativo? Cosa vuoi comunicare?

Credo tu faccia riferimento per il cinema al film “L’esperimento del dottor K” del 1958 e al suo remake “La mosca” di Cronenberg del 1986. Per me quei film si basavano molto sulla fenomenologia della trasformazione, che nel mio romanzo è piuttosto marginale. In letteratura, c’è l’esempio magistrale de “Il signore delle mosche”, con cui ci sono similitudini per alcuni aspetti distopici, ma in cui William Golding orienta la sua attenzione verso l’infanzia e le dinamiche di un corpo sociale che ritorna allo stato di natura. Nel mio romanzo, di civiltà, sia nel senso positivo di progresso, sia in quello negativo di disumanizzazione, ce n’è e ce ne resta sempre tanta. Un’amica mi ha poi segnalato il manga “La cronaca degli insetti umani” di Osamu Tezuka che non ho letto e da cui quindi non sono stato influenzato, ma che rientra tra le mie prossime letture.

Direi che quello che volevo comunicare prescinde dalle mosche. È il disagio cui conduce la modernità, l’insoddisfazione come regola di vita di quasi tutti noi, la scissione tra ciò che siamo e ciò che finiamo col diventare, quasi ineluttabilmente.

 

Che autore sei: segui l’ispirazione o hai un metodo ben preciso? Come si diventa scrittori a tempo pieno al giorno d’oggi?

Intanto non sono uno scrittore a tempo pieno, né ho la pretesa di dare consigli. Insegno filosofia e storia come professione da due anni, cui affianco una attività giornalistica di piccola entità residuo del lavoro precedente all’insegnamento.

Detto questo, non mi sottraggo alla tua domanda: l’autorialità per me è un equilibrio di ispirazione, necessaria, e disciplina nel darle seguito con costanza, sperimentando e risperimentando frasi, costruzioni verbali, moduli narrativi, praticamente tutto.

 

Questo romanzo sta già riscuotendo un grande consenso: a cosa ti dedicherai in seguito? Svelaci quali sono i tuoi progetti letterari per il futuro.

Vorrei lavorare su un romanzo più vicino alla mia città, Roma, e al mio tempo, non più al mondo e all’umanità tutta, ma sempre con degli elementi distorsivi del reale. Sarebbero storie urbane su attività terroristiche sui generis e a sfondo comico, sulla fruizione di pornografia giapponese e sul razzismo contro le comunità rom. Ma sono delle linee ancora molto vaghe, anche perché in questo momento le attività legate all’insegnamento e alla promozione del romanzo sono piuttosto pressanti, e mi permettono solo qualche idea e non la stesura di un nuovo progetto narrativo.

 

Redazione

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