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Stalker rilasciato in libertà: inizia subito a perseguitare nuovamente l’ex compagna

Un caso di stalking ha riacceso l’attenzione sui rischi che le vittime di violenza possono affrontare anche dopo la condanna dell’aggressore. La storia di una donna cremonese, vittima di atti persecutori e revenge porn da parte del suo ex partner, mette in evidenza una serie di problematiche legate alla protezione delle vittime e alla gestione di chi ha già compiuto crimini di questo genere.

La vicenda di stalking e revenge porn

La tragica esperienza di una 33enne del Cremonese, perseguitata dal suo ex convivente, si è aggravata a distanza di poche ore dalla scarcerazione di quest’ultimo. Murat, 53 anni, di origine turca e professione fotografo, è stato condannato il 18 luglio a due anni di reclusione, ma ha beneficiato della condizionale e ha scontato cinque mesi di custodia cautelare nel carcere di Bergamo. Nonostante la condanna per atti persecutori e revenge porn, l’uomo ha mostrato sin dalle prime ore di libertà il suo intento di riavvicinarsi alla donna, costringendola a una nuova denuncia.

La vittima ha dichiarato al Corriere della Sera di sentirsi in un “incubo” e di vivere un’ossessione continua, nonostante gli sforzi per cambiare vita. Murat ha adottato un comportamento aggressivo e intrusivo, creando profili falsi sui social media, contattando gli amici della donna e perfino dando vita a una pagina fake per denigrarla pubblicamente. Questi atti indicano chiaramente quanto sia difficile per le vittime liberarsi del giogo dei propri aguzzini, anche dopo una condanna.

Le conseguenze emotive e psicologiche per la vittima

La donna ha affrontato non solo le conseguenze fisiche, ma anche quelle emotive dovute al lungo periodo di molestie. La condizione di stress prolungato ha indotto la vittima a intraprendere un percorso di supporto terapeutico, rivolgendosi a uno psichiatra per affrontare i problemi psicologici scaturiti da questa tormentata esperienza. È emerso che la donna ha dovuto adattare radicalmente la propria vita, cambiando lavoro e città nel tentativo di sfuggire alla persecuzione.

Nonostante questi sforzi, la presenza e il comportamento invasivo di Murat si sono dimostrati quasi impossibili da eludere. Questo fattore ha reso la donna chiaramente consapevole dell’inadeguatezza del sistema di protezione, facendola sentire “non tutelata” anche dopo il rientro dell’ex in libertà. La donna ha sottolineato l’effetto devastante che queste esperienze hanno avuto sulla sua vita, spingendola a chiedere a gran voce maggiore protezione per chi vive situazioni simili.

La questione della sicurezza delle vittime dopo una condanna

L’episodio solleva importanti interrogativi sulla effettiva protezione delle vittime che, una volta che l’aggressore viene condannato, si trovano ad affrontare una nuova realtà. Spesso, la giustizia penale pare non garantire un’efficace misura di sicurezza, con la libertà dell’aggressore che pone le vittime nuovamente in uno stato di vulnerabilità. Questo può portare a una riconsiderazione delle leggi vigenti e delle misure di protezione, affinché si possano attuare strategie più incisive per prevenire ulteriori abusi.

L’assegnazione di misure di sicurezza, come il monitoraggio elettronico e restrizioni nei contatti, potrebbe rivelarsi utile per minimizzare i rischi per le vittime. L’esperienza della donna cremonese mette in luce che la situazione delle vittime di stalking richiede un’attenzione continua da parte delle autorità per garantire una riabilitazione soddisfacente e la salvaguardia delle persone coinvolte.

Inoltre, il caso sottolinea l’importanza della sensibilizzazione e della formazione delle forze dell’ordine nel riconoscere e gestire efficacemente situazioni simili, affinché la giustizia non si fermi alla condanna del colpevole, ma si estenda anche alla protezione delle vittime.

Giordana Bellante

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