Ultimo aggiornamento il 18 Gennaio 2024 by Redazione
La Cassazione si pronuncia sulla questione dei saluti romani
La Cassazione è chiamata a esprimersi sulla questione dei saluti romani compiuti durante una commemorazione di esponenti di destra deceduti. L’avvocato generale della Cassazione, Pietro Gaeta, ha affermato che il saluto fascista rientra nel perimetro punitivo della ‘legge Mancino’ quando realizza un pericolo concreto per l’ordine pubblico. Questa affermazione è stata fatta durante l’udienza davanti alle Sezioni Unite della Suprema Corte.
Due diverse scelte giudiziarie
Gli imputati, alcuni esponenti di estrema destra, sono stati assolti in primo grado nel 2014 e poi condannati in Appello. Le due diverse decisioni sono state basate su diverse violazioni di legge che sono state contestate: nel primo grado del giudizio è stata applicata la ‘legge Scelba’, che punisce la ricostituzione del partito fascista, mentre in secondo grado è stata applicata la ‘legge Mancino’, che punisce le ideologie discriminatorie.
La richiesta delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite della Cassazione sono state chiamate a intervenire per sciogliere il dubbio e mettere il punto su una questione su cui finora si sono susseguiti diversi orientamenti. Il rappresentante della Procura generale della Cassazione ha chiesto di confermare la condanna emessa dalla Corte di Appello di Milano. Durante l’udienza, l’avvocato generale Gaeta ha sottolineato la necessità di distinguere tra la finalità commemorativa e il potenziale pericolo di ordine pubblico. Ha affermato che “Acca Larenzia con 5mila persone è una cosa diversa da quattro nostalgici che si vedono davanti a una lapide di un cimitero e uno di loro alza il braccio. Bisogna distinguere la finalità commemorativa con il potenziale pericolo di ordine pubblico. La nostra democrazia è forte e sa distinguere”. Ha inoltre sottolineato che il saluto fascista è un’offesa alla sensibilità individuale, ma diventa reato quando realizza un pericolo concreto per l’ordine pubblico. L’avvocato generale ha concluso affermando che non possiamo avere sentenze a macchia di leopardo in cui lo stesso gruppo viene condannato da un tribunale e assolto da un altro.