Attentato alla ex caserma di Fossano del 2006: Condanne definitive per gli anarchici Alfredo Cospito e Anna Beniamino

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Attentato alla ex caserma di Fossano del 2006: Condanne definitive per gli anarchici Alfredo Cospito e Anna Beniamino - Occhioche.it

La Corte di Cassazione ha recentemente confermato le condanne per gli anarchici Alfredo Cospito e Anna Beniamino, ritenuti responsabili dell’attentato alla ex caserma allievi carabinieri di Fossano avvenuto nel 2006. giudici della sesta sezione hanno respinto sia i ricorsi della Procura Generale di Torino che quelli delle difese, stabilendo così la definitività delle pene detentive inflitte ai due imputati.

‘attentato alla ex caserma di Fossano e le indagini

Un atto dimostrativo contro le forze dell’ordine

Nella notte tra il 1° e il 2 giugno 2006, un ordigno esplosivo venne fatto detonare all’interno della ex caserma allievi carabinieri di Fossano, in provincia di Cuneo. ‘attentato, rivendicato da un gruppo anarchico-insurrezionalista, non causò vittime né feriti, ma provocò ingenti danni alla struttura. ‘azione, definita dagli stessi autori come un atto dimostrativo contro le forze dell’ordine, era finalizzata a colpire simbolicamente un luogo di addestramento delle forze di polizia.

Le indagini e gli arresti

Le indagini, coordinate dalla Procura di Torino, si concentrarono sin da subito sull’ambiente anarchico e, in particolare, su Alfredo Cospito e Anna Beniamino, entrambi noti alle forze dell’ordine per la loro militanza in gruppi anarchici. Grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali e alle analisi dei residui dell’esplosivo, gli inquirenti riuscirono a raccogliere prove sufficienti per incriminare i due attivisti. Nel 2007, Cospito e Beniamino furono arrestati e posti in custodia cautelare in attesa di processo.

Il processo e le condanne

Il processo di primo grado

Il processo a carico di Cospito e Beniamino ebbe inizio nel 2009 davanti al Tribunale di Torino. Dopo una lunga serie di udienze, caratterizzate da proteste e tensioni, nel 2010 arrivò la sentenza di primo grado: Alfredo Cospito fu condannato a 23 anni di reclusione, mentre Anna Beniamino a 17 anni e 9 mesi. Entrambi gli imputati furono ritenuti colpevoli di strage, detenzione e porto di armi ed esplosivi, oltre che di danneggiamento aggravato.

Il processo d’appello e la **Cassazione

La sentenza di primo grado venne confermata in appello nel 2012, con alcune lievi riduzioni di pena per entrambi gli imputati. Tuttavia, sia la Procura Generale di Torino che le difese presentarono ricorso in Cassazione, chiedendo, rispettivamente, l’aggravamento delle pene e l’annullamento delle condanne. Nel 2021, dopo quasi un decennio di attesa, la Corte di Cassazione ha finalmente emesso la sua sentenza, rigettando tutti i ricorsi e rendendo definitive le condanne per Cospito e Beniamino.

La detenzione di Alfredo Cospito

Il regime del 41 bis

Alfredo Cospito, attualmente detenuto presso il carcere di Sassari, è sottoposto al regime del 41 bis, una misura detentiva speciale prevista dall’ordinamento penitenziario italiano per i detenuti considerati particolarmente pericolosi e legati alla criminalità organizzata. Questo regime prevede limitazioni alle comunicazioni con l’esterno, isolamento dai altri detenuti e restrizioni alle visite.

Le proteste e le richieste di revisione del regime detentivo

Negli ultimi anni, sia Cospito che i suoi sostenitori hanno più volte denunciato le condizioni di detenzione cui è sottoposto l’anarchico, ritenendole eccessivamente restrittive e lesive dei diritti umani. Sono state organizzate diverse manifestazioni e iniziative di protesta per chiedere la revisione del regime detentivo di Cospito, ma finora le autorità competenti non hanno ritenuto di modificare le misure adottate.

Dopo un lungo iter giudiziario, le condanne per gli anarchici Alfredo Cospito e Anna Beniamino sono ormai definitive, chiudendo così un capitolo della storia degli attentati contro le forze dell’ordine in Italia. Tuttavia, la questione relativa alle condizioni di detenzione di Cospito e alle proteste dei suoi sostenitori rimane ancora aperta, sollevando interrogativi sul bilanciamento tra esigenze di sicurezza e tutela dei diritti umani nel contesto carcerario.