Ultimo aggiornamento il 7 Maggio 2024 by Francesca Monti
Un’eruzione vulcanica avvenuta durante una tempesta di neve sul finire di maggio, un evento straordinario che ha generato un flusso piroclastico rimasto ‘inosservato’ per circa 10 giorni. Questo è ciò che è accaduto sull‘Etna, come descritto nello studio “A Hidden Eruption: The 21 May 2023 Paroxysm of the Etna Volcano ” realizzato da ricercatori dell‘Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, delle università dell‘Aquila e di Cagliari e de la Sapienza di Roma.
‘eruzione nascosta e l’importanza dei sistemi di monitoraggio da remoto
Nonostante il cattivo tempo avesse oscurato le telecamere di videosorveglianza installate sul vulcano, le altre hanno funzionato correttamente e i segnali sono prontamente arrivati alla sala operativa di Catania, segnalando che era in corso un’eruzione con fontana di lava ed emissione di due colate, una verso Sud e l’altra verso Est. Questo evento ha richiamato l’attenzione sull’importanza e sull’efficacia dei sistemi di monitoraggio da remoto dell’Ingv, come sottolineato da Emanuela De Beni, vulcanologa dell‘Osservatorio Etneo dell’Ingv e co-autrice dello studio.
La scoperta sul campo: una corrente piroclastica di densità
Una settimana dopo l’eruzione, i ricercatori dell’Ingv si sono recati in area sommitale per eseguire rilievi con droni e procedere alla mappatura e quantificazione dei prodotti eruttati. È stato allora che si è scoperto che un deposito di cui fino a quel momento non si aveva contezza si era in realtà sovrapposto alla colata di Sud. Dopo attente indagini di terreno e analisi sedimentologiche, è emerso che si trattava di una ‘corrente piroclastica di densità‘, ovvero un flusso di materiale magmatico misto a gas ad alte temperature che era sceso ad alta velocità dai fianchi del vulcano.
‘analisi delle immagini satellitari e la ricostruzione dell’eruzione
Ai rilievi sul campo e via drone sono state affiancate le analisi delle immagini satellitari e dei dati radar degli aeroporti di Catania e Reggio Calabria da un impianto sul Monte Lauro , nonché lo studio approfondito del tremore vulcanico e dell’infrasuono forniti dai sistemi di monitoraggio dell’Ingv. Tutto questo ha permesso di ricostruire l’emissione di una colonna di cenere di altezza compresa tra i 10 e i 15 chilometri, frutto di un’eruzione suddivisa in tre fasi: una prima fase debolmente stromboliana, una fase stromboliana vera e propria e, infine, una fontana di lava.
Questo evento straordinario sul vulcano attivo più alto d’Europa ha dimostrato l’importanza dei sistemi di monitoraggio da remoto nel rilevamento e nello studio delle eruzioni vulcaniche, anche in condizioni meteorologiche avverse.